Franco Tonello

Mar Rosso

Il servizio fotografico coglie quei momenti della prima guerra del golfo dove: le tensioni dovute alla troppo facile possibilità che tutto saltasse in aria in quell' area petrolifera della PETROBEL / ENI -che ospitava decine di piattaforme centinaia di teste pozzo, con i missili "Patriot" che l'irak lanciava a israele. Israele che distava dal campo petrilifero troppo pochi kilometri, e dove un solo fiammifero bastava per provocare un disastro, niente di più probabile anche per la posizione del pres. egiziano Mubarak, ritenuto da Saddam filo americano. Tensioni sentite a pelle da tutti, ma coperte dagli urgenti impegni di lavoro, e dalla pace che il mare inconsapevolmente regala, in particolare nelle immersioni sul fondo dove tutto è ovattato e lontano. Il racconto che segue ha ottenuto un premio letterario sul tema.
 

Mi ricordo quel Natale

Natale 1990 in mezzo al Mare con gente di tutto il mondo

Porca vacca, ancora in mare per l'ennesima volta nel periodo di Natale. D'altra parte è il mio lavoro, il lavoro che amo e che mi sono conquistato con anni di studio serale dopo i lavori più disparati.
Tecnico progettista/sommozzatore del gruppo ENI (L'ente nazionale idrocarburi) fondato da Enrico Mattei.
Enrico Mattei il favoloso primo presidente, il quale: proprio in questi periodi natalizi veniva a stringere la mano a tutti noi, qualsiasi fosse il nostro livello nella società, a tutti chiedeva informazioni personali, e di tutti si ricordava il nome quando ci incontravamo nella cittadina dell'ENI; a Metanopoli.

Urgenza indiscutibile, una serie delle principali piattaforme della Petrobel Egiziana nel Mar Rosso, (progettate e costruite da noi) erano fuori servizio per la rottura dei collegamenti verso terra, una grossa nave aveva strappato effettuando un ancoraggio di emergenza tutte le linee operative delle piattaforme.
Periodo “splendido” per viaggiare in quella zona; era la prima guerra del golfo in IRAK del 1991. L'ultimatum stava per scadere, e in quegli ultimi giorni del 1990 quasi nessuno si avventurava per sua scelta in medio Oriente.
Aerei praticamente semi vuoti, le splendide Ostess erano ancora più disponibili al colloquio, i pasti di bordo venivano offerti più volte, ci si sentiva coccolati, ma tutti noi nascondevamo il timore che “qualcosa” di imprevisto potesse mettere fine a questo nostro “star bene”.
Finalmente il rullare sulla pista dell' aeroporto del Cairo, ci distoglieva, almeno momentaneamente dai nostri non confessati pensieri.
All'aeroporto un autista locale brandiva un cartone sderenato con su scritto il mio nome anche se con troppe doppie.
Cena e pernottamento al Nile Hotel. Alzataccia a notte fonda per prendere in tempo l'aereo dell'ENI che mi avrebbe portato in Aburudeiss (Presso il Sinai).
Al Campo, rapide formalità con i colleghi arabi, difficoltà a capirsi per il loro inglese approssimativo.
Elicottero, e dopo un breve viaggio; appoggio sull'Helideck della piattaforma principale.
Incontro immediato con gli ingegneri della Petrobel e con una ditta locale di sommozzatori per valutare il tipo di intervento da farsi.
Era il 22 Dicembre, giornate in qui si pensa al pranzo della vigilia a base di pesce, come si usa da noi a Venezia da sempre. Si addobba l'albero, si cercano disperatamente gli inutili ultimi regali per dar fondo alla tredicesima, si decide a chi farà il babbo Natale. Insomma la guerra imminente il mar rosso il Sinai , gli arabi, le piattaforme, c'entrano proprio come i cavoli a merenda in questi giorni.
Pensavo alla mia Venezia; dove quando potevo rientravo, da Milano o da qualsiasi parte del mondo mi trovassi, e dove sarei rientrato dopo questa missione, per fare il Mio Natale e il Mio Capo d'anno, anche se fuori tempo (quindi, inventati) tutti insieme, con Anna mia moglie, Barbara Massimiliano e Chiara i miei figli, e tutto il numerosissimo parentado, dove; ogni pranzo o cena finivano, grazie alle abbondanti libagioni con l'inno a S. Marco.
S. Marco, le mie calli, la mia parlata così musicale ancora Goldoniana, come mi mancava tutto questo, come mi sembrava ”ora”, lontano, irraggiungibile.
Deciso sul da farsi con i tecnici Petrobel, il giorno dopo mi sarei imbarcato su un Supply Wessel, una nave da lavoro messa a disposizione dalla ditta di sommozzatori locali.
Alle sei del Mattino successivo il” Marlin” si ancorava alla fonda nei pressi della piattaforma, il vento perenne da Nord ovest aveva alzato un mare forza 7, per salire a bordo usammo la gru di piattaforma, appesi come salami alla gabbia di canapa usata per il carico delle merci.
Ispezioni subacquee per verificare i danni, ragione di questa emergenza, e non per ultimo per godersi al di sotto delle onde, finalmente sospesi, il liquido tranquillo, e i colori della fauna sottomarina così varia splendida e policroma, e dove, i grossi e colorati pesci Napoleone, venivano imperturbabili e curiosi a “Controllare “ il nostro lavoro.

Il Marlin batteva bandiera Americana( il peggio che potesse, per questioni di sicurezza, solcare quei mari in questo periodo), il suo equipaggio era misto, capitano egiziano Cristiano Maronita, che parlava un inglese pulito, il secondo di bordo un anziano inglese recuperato chissà dove, l'equipaggio formato da: cinesi, arabi, africani, e chi più ne ha più ne metta.
Un marinaio arabo e molto scuro mi guardava con lampi di antipatia, era piccolo magrissimo, con un berretto a cuffia verde erba calcato sulla testa, da dove gli occhi apparivano appena, come due sfere di pece, mi sembrava una formica. Scoprii la ragione della sua antipatia per caso, con il suo stentato inglese stava dicendo al secondo di bordo che Mr. Cionnelo (Tonello) aveva rubato il suo bicchiere di vetro, bicchiere che di fatto mi era stato dato dal Capitano, e che mi affrettai di restituire comunque e subito al formica, conquistandomi così, nere occhiate più benevole da sotto il suo cappello calcato.

Vigilia di Natale, il Marlin si ancorava di notte su un “ coral rift” dove il mare forza 6/7 che ci tormentava tutto il giorno, ci lasciava dormire tranquilli.
Che vigilia triste e piena di rimpianti mi si prospettava, pensavo di ritirarmi presto in cuccetta per sentire con il mio “Mangiacassette” le voci festose registrate dei miei figli e di Anna, le canzoni veneziane di Umberto da Preda, o leggere i miei libri di storia veneta. Cose che mi accompagnavano da sempre nelle mie trasferte estere.
Ora con i telefoni satellitari si può parlare in tempo reale con i propri cari, allora solo la radio di bordo ti poteva far sentire dopo eterne attese e numerose interruzioni della voce, in mezzo al fruscio indistinto le voci dei nostri cari.
All' ora di cena, venne come al solito a bussare alla porta della mia cabina “il Formica”, il quale si presentò con un sorriso che; per la prima volta mi fece vedere i suoi denti piccoli ma bianchissimi, mi chiesi tra me quale fosse la ragione di questo omaggio, booooo!
Formica mi aprì la porta della sala mensa ufficiali, una luce siderea mi investì, sulla tavola un enorme tacchino fumava e profumava l'ambiente, una grande terrina di polipo con il sedano tagliati a tocchetti, e le grosse pizze del pane arabo.
Un piccolo presepe sopra un tavolo era illuminato da un faretto, al suo fianco molte bottiglie di Whisky e bottiglie di vino aspettavano di essere aperte.
Il Capitano Cristiano Maronita mi spiegò che lui al Natale ci teneva come noi, e che il polipo così preparato l'aveva imparato da un suo marinaio napoletano, e che l'aveva preparato lui stesso per farmene omaggio in questa vigilia, che per lui era sempre passata a bordo.
Eravamo tutti stipati in quella sala mensa con tutto l'equipaggio al completo, e con i tecnici sommozzatori i quali avevano provveduto a pescare e preparare alcune loro specialità locali, come il muscolo delle “tridacne” lessato e condito con “non so cosa” che scoprii molto buono.
Si mangiò in allegria. Dove ognuno parlava con lingue sconosciute. Il formica sfoggiando per me il suo secondo sorriso, mi porse il suo adorato bicchiere, quel gesto vi assicuro mi commosse. Qualche traduzione me la forniva il Capitano, ma con il passare dei bicchieri, per loro di Whisky, per me di vino.. Tutti alla fine parlavamo la stessa lingua.
Osservai al Capitano ma........i mussulmani non dovrebbero bere alcoolici o mi sbaglio?Io non sono Mussulmano, e gli altri in questi casi fanno sempre uno strappo.
formica intonò una cantilenante canzone araba, dopo io feci ascoltare loro il nostro Umberto da preda, e finii io stesso cantando l'inno a S. Marco, non ottenni un grande successo, era talmente lontano il nostro modo di cantare dal loro, con un sorriso di sufficienza, vollero insegnarmi “come si deve cantare“ e continuarono così con le loro cantilenanti nenie.
Come mi sentii riconoscente nei confronti di quei rappresentanti di popoli diversi, messi tutti insieme per caso in un “Coral Rift” sopra un guscio di nave battente bandiera americana, che galleggiava sperduta in una nera notte di una vigilia di Natale di un anno ormai lontano, e dove, per tutti noi il mondo aveva cancellato i suoi odi, le sue guerre e le difficoltà di rapporto a volte insuperabili, per filosofie a volte solo apparentemente diverse tra i popoli, eppure.........in questa nera notte nel mar Rosso. per qualche ora ero riuscito a sentirmi come loro e felice seppure così lontano.

Franco Tonello - 2007 | Informazioni sul sito